Nel corso degli ultimi tempi si è fatto sempre più saliente il dibattito circa l’omogenitorialità, ovvero le famiglie formate da coppie dello stesso sesso (due madri /due padri). Il tema è molto delicato e chiama in causa tutta una serie di giudizi morali ma soprattutto pre-giudizi, impressioni e opinioni contrastanti.
A tal proposito sarebbe interessante andare oltre un mero parere, una mera opinione a pelle o pseudo teorie improbabili sulla genitorialità e documentarsi so ciò che i dati empirici, quindi i risultati delle ricerche sul campo, hanno da offrire.
Non molto tempo fa, parallelamente alla discussione parlamentare poi divenuta legge sulle coppie omologhe e coppie di fatto (Legge 20 maggio 2016, n.76 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” , detta anche legge Cirinnà) è stato pubblicato un importante documento da parte dell’ Ordine degli Psicologi del Lazio, passato poi in sordina. Questo documento forniva e fornisce tutt’ora un importante elemento di analisi per comprendere a fondo il tema delle famiglie formate da coppie omologhe.
All’interno del documento una sintesi di più di 25 anni di ricerca scientifica sulle c.d. famigli arcobaleno, sulle principali dimensioni implicate nel sistema famiglia da una prospettiva filiale e da una prospettiva genitoriale; in sostanza: che conseguenze ci sono nel crescere all’interno di una famiglia omogenitoriale?
Ogni singola ricerca ha indagato degli assi specifici e definiti tra cui: autostima dei figli e relative differenze fra figli di coppie gay e figli di coppie etero, relazionalità- competenze sociali dei figli, influenza dell’ orientamento sessuale dei genitori su quello dei figli, indagine sullo sviluppo e adattamento psico- affettivo di bambini cresciuti in coppie omologhe e figli di famiglie etero ecc. Queste sono solo alcune delle aree più salienti esaminate in ogni progetto di ricerca. All’interno del documento su citato viene riportato l’anno di pubblicazione, il titolo della ricerca, gli autori, la rivista di pubblicazione, obiettivi, strumenti, partecipanti e risultati finali.
Ebbene la quasi totalità delle ricerche prese in esame ha evidenziato un elemento comune trasversale: l’orientamento sessuale dei genitori è ininfluente rispetto al benessere dei figli. Tra le istituzioni del campo che formalmente hanno espresso tale posizione a seguito di anni di studi troviamo l’ American Academy of Pediatrics (Aap) in uno studio del 2006, l’American Psychological Association (2005) e in Italia, l’Associazione Italiana di Psicologia. Per motivi di spazio non è possibile qui elencare tutti focus analizzati sopra accennati; se ne cita qui di seguito uno solo per la sua valenza esplicativa da una ricerca del 2004: “Indagare se l’orientamento sessuale dei genitori abbia un impatto sullo sviluppo e il benessere dei figli, valutando la relazione tra adattamento psicosociale, andamento scolastico, comportamenti e relazioni romantiche di adolescenti cresciuti in famiglie omosessuali rispetto a figli di coppie eterosessuali”. La metodologia di indagine è stata basata sulla somministrazione di interviste e questionari. I risultati: “l’adattamento degli adolescenti esaminati è connesso alla qualità dei rapporti familiari e, più delle caratteristiche strutturali della famiglia, è la qualità del rapporto genitore- figlio ad incidere sull’adattamento dell’adolescente”.
Esiste accanto a questa serie di studi, un altro settore quantitativamente minoritario condotto perlopiù negli Stati Uniti che portano a conclusioni opposte, ovvero che l’orientamento sessuale incida, in maniera negativa, sulle competenze di un genitore e sul benessere dei figli. Uno dei più noti è quello del 2012 di Mark Regnerus (sociologo dell’Università del Texas di Austin), riportato sullo stesso documento dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. Questo studio tuttavia , come cita il sito “27esima ora” del Corriere della Sera del 4/11/12, “… è stato criticato dall’ American Psychological Association, l’American Psychiatric Association, l’American Psychoanalytic Association …” in quanto è emerso che il campione dello studio era composto prevalentemente da famiglie a rischio (fattore predisponente per il malessere dei figli, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori). Insomma, un campione ben poco rappresentativo.
Ora, vi sono un paio di elementi di riflessione su cui soffermarsi brevemente. Un primo fattore da riconoscere è la rilevante differenza che sussiste tra intrinseca, o presunta tale, immoralità/tossicità di una famiglia omogenitoriale e il concetto di tale famiglia che ne dipinge a posteriori la società, ovvero lo stigma sociale. Se io bambino cresco all’interno di una famiglia con due madri/ due padri, un conto è come Io vivo il mio rapporto coi genitori ed un altro è come la società vede e concepisce dall’esterno questo stesso rapporto. Molto spesso è proprio la distorsione a posteriori di quel giudizio morale a dipingere un rapporto che di per sè, così come dimostrato in molti casi, lungi dall’essere “disagiato”, “immorale” o “nocivo”.
Un secondo elemento da comprendere è che una buona genitorialità prescinde dal sesso della persona. Molto banalmente, la capacità di educare e crescere un bambino è svincolata dall’essere uomo o donna, quindi l’essere buoni o cattivi genitori è svincolato dal genere tantomeno dall’orientamento sessuale. Il tanto controverso bisogno di identificazione che il bambino adotta implicitamente nel proprio processo di sviluppo psico-sociale non ha a che vedere col sesso bensì con la funzione del caregiver. Non a caso la ricerca psicologica e psicoanalitica ha incominciato ad introdurre nel proprio ambito disciplinare il concetto di funzione parentale: funzione paterna da un lato e funzione materna dall’altro ma, aspetto centrale, il fatto che lo stereotipo simbolico con cui si assegna l’autorità e “la legge” al maschio e “l’accudimento” alla donna sono in realtà aspetti che afferiscono alla personalità del genitore , non alla fisicità.