Il bullo, questo sconosciuto: vittima o carnefice?
Sembra quasi che i giovani siano vittima dell’emulazione: scoppia un caso di bullismo in una scuola, il giorno successivo se ne registra un altro.
Che cosa vuol dimostrare il bullo? La sua supremazia?
Chi è il bullo?
Un tempo il bullo era il ragazzo che voleva mettersi in evidenza con atteggiamenti eccentrici che suscitassero attenzione: un certo abbigliamento, una pettinatura inusuale, niente di malvagio. Oggi purtroppo il bullo è un teppista, un violento che mira deliberatamente a far del male per affermare il suo potere, il suo dominio su una persona più debole. Certamente il bullo è lo specchio di una società malata, di una società che pone scarsa attenzione ai messaggi che talvolta i giovani lanciano in maniera subliminale. Innanzitutto la famiglia, cellula della società, è oggi una famiglia distratta che crede di soddisfare le esigenze dei figli dando loro beni materiali. Non c’è più tempo per dialogare con i figli: c’è da fare, il denaro chiama, le cene, gli amici, gli impegni sociali. Si demanda l’educazione dei figli ad aiuti esterni. Eppure basta poco per tessere con i figli un rapporto quotidiano fatto di prima colazione insieme, di sguardi, di rimproveri dolci o duri che siano, di gesti rassicuranti, in una parola un rapporto fatto di amore.
Un ragazzo compreso, soddisfatto, è un ragazzo sicuro di sé, che non ha bisogno di dimostrare il suo dominio, non è un ragazzo incattivito ma aperto verso gli altri.
Se la famiglia non è benestante, e di questo è necessario che i nostri governi si facciano carico, i figli sono affidati alla strada, dove regna la legge del più forte ed è facile diventare bulli. Certo, probabilmente in questi giovani violenti potrebbe anche esserci una predisposizione alla violenza ma non ne sono convinta.
Se la famiglia deve fare la tua parte, anche la scuola deve assumersi le sue responsabilità. È fondamentale il dialogo con i genitori, talvolta proprio questi vanno educati.
E non solo.
È necessario creare nelle classi le condizioni per cui gli alunni imparino a rappresentarsi l’uno all’altro nel rispetto della persona, della tolleranza e dell’apertura. Un tempo, ma credo ancora oggi, i compagni di scuola erano sacri, la classe era una famiglia.
Bisogna partire dai libri per risalire a certi valori, bisogna appassionare i ragazzi e fare in modo che essi scoprano il valore dell’altro, il senso della comunità.
Cicerone dice che l’uomo non è nato per vivere solo.
Ecco, questo bisogna insegnare ai giovani: l’importanza e la bellezza di vivere tra e con gli altri, senza prevaricazioni.
I giovani hanno bisogno di buoni esempi e la cultura dovrebbe fare la sua parte in questo contesto. Ma se tutto questo non dovesse bastare non bisogna stare lì a discettare sull’argomento, bisogna che gli organi competenti regolino certi comportamenti con leggi appropriate così da dissuadere chi vuole assumere atteggiamenti violenti a danno di più deboli, atteggiamenti che causano sulle vittime di turno danni talvolta irreversibili.