La lavanderia che per imperizia rovina l’abito affidatole per la pulitura deve risarcire il danno.
Così stabilisce una recente sentenza del Giudice di Pace di Nocera Inferiore a firma della dott.ssa Katia Gamberini
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Un consumatore citava in giudizio, avanti all’ Ufficio del Giudice di Pace di Nocera Inferiore, il titolare di una lavanderia per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e alla rifusione delle spese. Sosteneva l’attore di aver acquistato un costoso abito da cerimonia indossato in occasione del matrimonio del proprio figlio e che, anche per una sua migliore conservazione, stante il notevole valore affettivo, si era recato presso una lavanderia per farlo lavare consegnando il capo all’addetta con particolare raccomandazione a seguire le istruzioni del lavaggio riportate in etichetta. Dopo circa tre mesi il vestito veniva semplicemente riconsegnato al proprietario, chiuso nella sua custodia, senza cenno alcuno dei danni patiti dall’abito; soltanto giunto a casa propria, all’apertura della custodia contenente il vestito, questi poteva constatare che l’abito era irrimediabilmente danneggiato. Contestato il fatto, la lavanderia aveva denegato ogni responsabilità imputando la stessa al produttore/venditore per aver utilizzato un tessuto non idoneo per i normali trattamenti di manutenzione a secco in ambiente umido e allo stiro. Alla successiva contestazione anche al venditore, tale ultimo addebitava ogni responsabilità ad un lavaggio non correttamente eseguito dalla lavanderia. Ad evasione di rituale richiesta di accertamento tecnico preventivo da parte dell’attore ex art.669 bis, il Giudice di Pace nominava un esperto al fine di determinare causa e responsabilità dei danni patiti. All’esito degli eseguiti accertamenti il consulente acclarava l’esclusiva responsabilità della lavanderia nella determinazione dei danni lamentati. Instauratosi il giudizio, provvedeva alla rituale costituzione in giudizio la lavanderia chiedendo il rigetto della domanda anche per l’intervenuta prescrizione del diritto. All’esito del giudizio, la lavanderia è stata condannata al risarcimento del danno patrimoniale, pari al costo del vestito oltre gli interessi legali, ed alle spese di giudizio, con rigetto, per contro, della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Giudicante ha ritenuto non esservi prescrizione/decadenza del diritto in quanto, richiamato quanto determinato dalla Cassazione Civile con sentenza n° 11452/2000, la lavanderia, a seguito delle rimostranze dell’attrice, aveva sottoposto a verifiche il capo d’abbigliamento rinunciando di fatto, con tale condotta, ad eccepire il termine di decadenza. Talché, anche a mente di quanto chiarito da Cassazione Civile con sentenza n° 5732 del 10/03/2011, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., il dies a quo si computa dal momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio e, quando la scoperta del vizio avvenga per gradi ed in tempi diversi e successivi, con riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (conformi Cassazione Civile, sentenze n. 9515/2005 e n°4657/98).
Nel merito, stabilito che vertevasi di un contratto d’opera, disciplinato dall’articolo 2222 del Codice Civile, è stato chiarito che il prestatore d’opera, stante l’assunzione del rischio di attività, è tenuto alla garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera ex art. 2226 c.c., e, pertanto, il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese del prestatore d’opera oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa (art. 1668 c.c.) La Suprema Corte, invero, ha da tempo chiarito che in tema di inadempimento da illecito contrattuale, l’onere della prova è caratterizzato dalla presunzione di colpa superabile solo ove il debitore provi che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento non siano a lui riferibili per impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile. All’attore, quindi, sarà chiesto di provare la fonte del suo diritto allegando l’inesattezza dell’adempimento da parte di controparte, mentre sarà onere del prestatore convenuto dimostrare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte, ovvero l’inimputabilità dell’inadempimento, avvenuto per fatto del terzo, forza maggiore o caso fortuito. È stato ritenuto, nel caso di specie, che nessuna prova avesse dato la convenuta dell’aver correttamente eseguito il lavaggio secondo quanto riportato in etichetta, e neppure che nel tempo intercorso tra il lavaggio ed il rilievo del danno ad opera dell’attrice si era inserito un diverso evento causale in grado di interrompere tale nesso. Il mancato riconoscimento della risarcibilità del danno non patrimoniale è motivato dalla non ravvisabilità degli estremi fissati dalla Corte di Cassazione con le note sentenze a Sezioni Unite succedutesi negli anni 2008-2009, ovvero la risarcibilità del danno ex lege o derivante da reato o da lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, e la gravità della lesione, e cioè il superamento della soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale, e la non futilità del danno, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario.