Nell’era moderna smartphone e tablet sono quasi un’estensione del nostro corpo, un terzo arto potente e multifunzione che ci permette non solo di fare più cose allo stesso tempo ma di essere in più luoghi contemporaneamente, in contatto con gli altri, con il mondo. Quanti di noi camminano con il cellulare stretto in una mano, pronti a reagire ad ogni vibrazione, ad ogni input? Molti, moltissimi, giovani soprattutto, per i quali ciò può costituire un pericolo dal punto di vista relazionale ma anche fattuale: si pensi a quei ragazzi che vediamo attraversare la strada con il capo chino sul proprio cellulare, noncuranti delle circostanze altamente pericolose in cui si trovano. Ma oltre la sbadataggine dei ragazzi e la mancanza di buon senso degli adulti, c’è da chiedersi che impatto possono avere queste tecnologie sui bambini ovvero su coloro che ancora non hanno piena consapevolezza di tali strumenti e capacità di discernimento di limiti e insidie.
È pacifico che crescere ed educare un figlio non è impresa facile: ai genitori spetta essere multitasking, occuparsi di più cose nel medesimo tempo, avere cura di se stessi, del lavoro, della casa, dei figli e ciò, ai ritmi che oggigiorno vengono scanditi, può risultare stressante, estenuante. Capita spesso, quindi, che i bambini vengano parcheggiati davanti a dispositivi diversi dal televisore, mezzo che in passato costituiva la principale alternativa, seppur passiva, di giochi e svago. Ma quali possono essere gli effetti dell’esposizione dei giovanissimi a smartphone e tablet? Nel ventennio scorso la principale preoccupazione dei genitori poteva essere individuata nel tempo eccessivo impiegato dai figli davanti a consolle e playstation, fonti idonee a causare problemi di sovrappeso o obesità. Oggi, l’American Academy of Pediatrics lancia un nuovo allarme: un bambino americano medio trascorre quasi otto ore alle prese con dispositivi portatili. D’altronde non c’è bisogno di volare oltreoceano per evidenziare che tali problematiche sono diffuse ovunque. Quante volte ci è capitato di assistere, in una sala d’attesa ad esempio, alla scena che vede un figlio piangere e strepitare per ottenere il cellulare della madre o del padre? Quante volte durante feste o occasioni varie si possono scorgere capannelli di bambini intenti ad interagire ognuno con il suo smartphone ma non tra loro? Troppe. E ciò che l’AAP vuole denunciare è proprio questo: smarthpone e tablet, pur essendo strumenti interattivi e non passivi, utilizzati in un’età precoce in cui lo sviluppo avanza a pieni giri, possono condurre in primis a limitazioni delle capacità comunicative, isolamento, alienazione. Si rischia di dar vita ad un esercito di individui emarginati all’interno di gruppi, lontani tra loro, incapaci di contatto sociale pur essendo a distanza ravvicinata. I bambini si allenano a giocare con lo sfidante random selezionato dal gioco e ubicato chissà dove, si specializzano a sbirciare nelle vite di soggetti lontani, a discutere o commentare i pensieri altrui, ma non sanno approcciare con chi è nella stessa stanza. In barba a scettiche aspettative, un bambino che attraversa il mondo da appena due anni imparerà velocemente ad usare un congegno elettronico, ma l’esposizione prolungata a tale strumento rischia di avere un’incidenza negativa sul suo sviluppo: si sostiene, infatti, che venga inficiato innanzitutto lo sviluppo del cervello, organo che nella fase della prima infanzia si potenzia e cresce ad ogni stimolo, ad ogni sfida. Non diversamente, gli studi pedagogici hanno sempre spinto ad incentivare, a scuola come a casa, l’esplorazione, la manipolazione, la costruzione nella misura in cui per un bambino ogni gesto costituisce un ostacolo da superare: si pensi al coordinamento delle braccia o delle mani che nella prima fase di crescita spesso appare goffo perché estremamente impegnativo, ma essenziale per imparare a muoversi in autonomia, ad associare cause e conseguenze fino ad essere pienamente capaci di produrre, creare. Ad essere a repentaglio, infatti, è anche questo: la creatività. Appena disponete di un minuto libero impiegatelo osservando un bambino alle prese con una matita e un foglio: non sarà difficile notare sul suo volto dapprima la meraviglia e poi la gioia di fronte a quello che per noi è solo uno scarabocchio, ma che per lui rappresenta un parto.
La perifrasi demenza digitale aiuta ad indicare gli effetti negativi dell’utilizzo smodato di tablet e smartphone in quanto idonea ad incorporare con esaustività e drammaticità il ritardo cognitivo e nello sviluppo, il deficit nelle funzioni esecutive e nell’attenzione nonché la compromissione dell’apprendimento. Tuttavia le conseguenze non finiscono qui, articolandosi in un mesto climax ascendente che va dai disturbi del sonno all’aggressività passando per la dipendenza. Per quanto concerne il primo effetto collaterale, si registra che circa il 75% dei ragazzi va a dormire con un cellulare; ne deriva che i genitori non possono controllare fino a che ora il dispositivo venga utilizzato né che tipo di contenuti vengano visionati. Recenti studi, inoltre, affermano che la luce dei display, unita alla smania di inviare messaggi, ostacola il relax necessario alla preparazione della fase REM, rallenta la produzione di melatonina e prolunga l’attenzione fino a oltre trenta minuti successivi allo spegnimento della fonte di luce. In pratica, ogni volta che accendiamo il telefono prima di dormire è come se dessimo uno scossone al nostro cervello alterandone il procedimento di rilassamento. Attardarsi a smanettare fino a tarda ora, inoltre, è strettamente legato alla problematica della dipendenza: i dispositivi, infatti, possono finire per rappresentare un surrogato di legami, relazioni, emozioni che difficilmente adulti e bambini riescono a distinguere dalla realtà al punto di creare con gli stessi un rapporto di necessità esistenziale. Infine, è davanti agli occhi di tutti la qualità dei contenuti che possono essere facilmente reperiti in rete: notizie, scene e video di violenze e torture su persone e animali sono all’ordine del giorno. Basti pensare che una delle piattaforme social più utilizzate (facebook) non molto recentemente ha integrato la sezione News con la funzione di riproduzione automatica dei video, i quali si avviano al semplice scorrere della home senza che sia necessario cliccare su play, finendo per vedere anche ciò che non si vorrebbe.
Diversi psichiatri infantili, in risposta a tali timori, propongono di adottare la regola del 3-6-9-12 secondo cui dovrebbe essere impedito l’uso di qualsiasi schermo digitale fino a 3 anni, dei videogames fino a 6, l’accesso a internet fino a 9 e dai 12 anni in poi consentire la navigazione in rete con il parental control adeguato alle circostanze. Tuttavia, l’altra faccia della medaglia mostra una larga fetta di specialisti glissare sull’argomento in questione e sminuirne gli effetti negativi.
Quanto detto, quindi, non resta che una mera avvisaglia, lasciando ai genitori il compito di vigilare sull’an e il quantum dell’impiego di congegni digitali durante la crescita dei figli. In sottofondo, però, risuona cupa l’eco pessimista sulla buona riuscita di un’operazione affidata ad adulti a loro volta nient’affatto immuni dalla demenza digitale.