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Le donne sono sole

Anche nel dolore più grande

Dopo le osservazioni in merito al costo dei farmaci da banco in Italia, all’estero e sulle piattaforme virtuali, ci ritroviamo a parlare, usando un eufemismo, di malasanità. Stavolta l’argomento, addentrandosi nel fuoco vivo di uno dei problemi più spinosi del sistema sanitario e non, potrebbe far accapponare la pelle a quelli che si definiscono “obiettori di coscienza” (anche se a ben vedere si dovrebbe verificare a quale coscienza ci si appella, ma questo è un altro discorso che ci porterebbe alla deriva su correnti e onde di diversa portata). Ebbene, a chi ha timore di eventuali convulsioni di coscienza, consiglio vivamente di mettersi comodo, sorseggiare una camomilla e accettare la sfida di una lettura di tal guisa o più semplicemente di utilizzare questo foglio come combustibile da camino, così da continuare a coccolare al caldo e al sicuro la propria moralità.

La reperibilità di un test di gravidanza in Italia non è difficile: nelle realtà di paese, chi non teme giudizi può recarsi in farmacia e chiedere ciò di cui ha bisogno; chi, invece, è più titubante può bisbigliarlo al farmacista nella speranza che non sia oggetto di occhiatacce o frecciatine sia da parte del rivenditore che da parte di qualcuno che diligentemente attende il turno oltre la linea gialla, ma è tutto orecchi riguardo gli affari altrui. Se poi la stessa persona necessita di un consulto, le cose potrebbero complicarsi: se è fortunata, il farmacista la prenderà poco da parte mettendo in attesa la scalpitante clientela e le sussurrerà consigli approssimati e affrettati giacché il suo ruolo non è in via principale di consulto, ma di vendita e ogni cliente rappresenta una cifra consistente per le casse dell’attività. Anche la presunta gravida porta in petto, un po’ più sotto della lettera scarlatta, il simbolo del dio denaro... ma esattamente di quanto si sta parlando? Un test in media ha il costo di una decina di euro presso qualsiasi farmacia. Se invece si vuole acquistare online per comodità o per evitare di esporsi a situazioni spiacevoli, il test ha un costo inferiore (si parte da 2€) se non fosse per le spese di spedizione che fanno lievitare il prezzo fino ad un totale non molto lontano da quello del prodotto al banco.

Ma come funzionano le cose, per dire, in Inghilterra? Un test di gravidanza può essere acquistato quasi ovunque: supermercati, farmacie, rivenditori di prodotti per la cura personale, i cosiddetti “One pound shop” e, come è intuibile, il costo è radicalmente diverso poiché va da una sterlina, appunto, a 3-4 sterline per i pacchi 2x1. Ma in Italia le necessità hanno un certo costo – inclusa la pillola del giorno dopo - e non solo in termini monetari. 

Non sono poche né da poco le difficoltà che molte donne incontrano allorché un test risulta positivo in maniera indesiderata e si determinano per un’ivg: la prima fra tutte è rappresentata dal personale medico e ospedaliero obiettore di coscienza. 

In base ai dati forniti nel 2016 dal Ministero della Salute, la percentuale di medici obiettori in Italia si aggira intorno al 46, mentre quella degli anestesisti si attesta sul 49; tali cifre esprimono un calcolo in media, mentre a voler analizzare i numeri regione per regione, il risultato è imbarazzante: mentre al nord risultano percentuali più basse pur se non bassissime, al centro e al sud ci sono regioni che rilevano più del 90% del personale sanitario obiettore. Al di là di quelle che potrebbero essere le cause, restano prioritarie le problematiche che vengono generate da questo sistema frutto dall’applicazione (scorretta o incompleta) della legge n. 194 del 1978.

Non si contano le denunce inerenti il disservizio delle strutture ospedaliere presentate da donne che hanno dovuto subire pregiudizi e maltrattamenti o si sono viste negare le cure.

Solo qualche tempo fa si è conclusa con un positivo riscontro della Corte di Cassazione la vicenda giudiziaria di una donna che, affetta da malattia genetica, ha deciso di ricorrere all’aborto ma dopo l’intervento è stata abbandonata a se stessa, senza alcun tipo di assistenza, poiché in quel  momento erano di guardia solo obiettori. La Suprema Corte ha ribadito che il diritto all’obiezione di coscienza non esonera il medico dall’intervenire durante il procedimento in quanto il diritto di obiezione “affievolisce”, fino a scomparire del tutto, dinanzi al diritto della paziente di ricevere le cure per tutelare la propria vita. 

Sempre la Corte ha confermato la condanna ad un anno di carcere  con interdizione dall’esercizio della professione medica ad una ginecologa della provincia di Pordenone che, nonostante una possibile emorragia, si era rifiutata di visitare una paziente che aveva appena abortito. 

La degenerazione del fenomeno, poi, consiste nel paradosso che travolge i consultori familiari, strutture nate con l’obiettivo di affiancare le pazienti in gravidanza e sostenerle anche da un punto di vista morale nell’affrontare le circostanze in maniera serena ma soprattutto informata su tutte le possibili alternative, invece a capo di buona parte di essi ci sono medici obiettori che non si fanno scrupoli (di coscienza appunto) nel guardare con disprezzo donne gravide senza essere sposate o che richiedono nulla osta per l’ivg, senza considerare se esse siano vittime di stupro, se sussistono le idonee condizioni per portare avanti la gravidanza o più semplicemente senza rispetto per quelle che sono le libere e lecite scelte altrui.

Tutto ciò pare privo di ragion d’essere se si considera che è la stessa legge 194 a prevedere che il lavoro svolto dai consultori non si sostanzia nella materiale interruzione della gravidanza, ma in attività che qualsiasi medico può espletare pur essendo obiettore. Tuttavia nei fatti sembra che non si riesca a guardare oltre.

Il problema è stato identificato anche a livello comunitario: dopo il ricorso dell’Ippfen (International planned parethood federation european network), il Comitato europeo dei diritti sociali in seno al Consiglio d’Europa ha ripreso l’Italia a causa dell’elevato numero di medici obiettori in quanto violerebbe i diritti riproduttivi delle donne. È pacifico che il messaggio lanciato dal Comitato non mira a comprimere un diritto in nome di un altro, ma a denunciare un sistema che non funziona in quanto necessita di contemperamenti e specifiche. Un ragionevole punto di equilibrio potrebbe essere prevedere all’interno dei presidi ospedalieri una riserva della metà dei posti di lavoro per medici che non siano obiettori mentre la restante parte verrebbe assegnata a coloro che hanno prestato obiezione di coscienza. Si andrebbero in tal modo a rimuovere gli ostacoli generati dall’imposizione a terzi di un giudizio morale individuale laddove, invece, l’obiezione di coscienza permette di astenersi da un compito obbligatorio e non legittima affatto un giudizio sull’integrità e la moralità altrui.

Ma il nostro paese sembra sordo a certi appelli e ogni giorno si verificano nuovi casi che vedono donne sole, magari vittime di violenze, ricorrere a strutture ospedaliere pubbliche in cui subiscono soprusi, non essendo per tutti possibile permettersi una clinica privata. Tutto ciò finisce per essere terreno fertile, inoltre, per pratiche di aborto illegali: senza andare troppo lontano, a Nocera Inferiore poche settimane fa è  iniziata a carico di un noto ginecologo in pensione un’indagine per aver indotto alcune donne ad abortire presso il suo studio dietro corresponsione di denaro; lo stesso medico è anche sotto processo per l’omicidio colposo di una giovane donna di Angri deceduta nel 2014 dopo un intervento di interruzione volontaria di gravidanza. 

Difficile immaginare che tutte le donne in attesa, in condizioni psico-emotive provate, riescano a ricorrere a strumenti giudiziari di tutela. Eppure una convinta attività di sensibilizzazione potrebbe far si che molte altre testimonianze emergano fino a far ricordare alle istituzioni quali sono le loro responsabilità. Quelle stesse istituzioni che  già utilizzano il mezzo delle campagne di sensibilizzazione, ma a quanto pare solo per coprirsi di ridicolo come è avvenuto in occasione del recente “Fertility day” le cui armi “vincenti” sono state opuscoli razzisti e immagini di clessidre o cicogne ad indicare che il momento di farsi fecondare è alle porte.

La preoccupazione da parte dello Stato per il notevole crollo demografico degli ultimi decenni è, a volersi sforzare, comprensibile, ma tirando le somme della disastrosa situazione sociale, religiosa e sanitaria del nostro paese i tentativi di persuadere le donne a sfornare figli come fossero pezzi di pane risultano estremamente tristi. L’epilogo di tutto ciò diviene per essere l’amara consapevolezza di un apparato governativo che non sa tenere il timone nella direzione giusta, che spesso va alla deriva, cozza sulle scogliere e fa acqua da tutte le parti. Un sistema di comando che non c’è o che finisce per esserci solo con meschine locandine e brochure di pessima facciata, ma che in sostanza non tutela le componenti deboli della comunità, anzi nelle situazioni più oscure le lascia da sole dopo aver fatto credere loro di avere dei diritti, di essere “libere” di scegliere, di poter dormire sonni tranquilli almeno fin quando non succeda qualcosa che ti condanni alla pena di morte in un letto d’ospedale.

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