Il vino, bevanda ricca di antiossidanti dalle numerose qualità benefiche sulla salute, è da sempre la bevanda storica della dieta Mediterranea. L'Italia, infatti, è la patria del buon vivere e dei vini di eccellenza. L’etimologia del termine è molto antica, infatti vino deriva dal sanscrito vena, che significa amore e non a caso, più tardi, la dea romana dell’amore fu chiamata Venere.
Risalire precisamente alla data di nascita del vino è praticamente impossibile in quanto la storia delle bevande fermentate ha inizio in tempi che non hanno lasciato dietro di loro documenti o tracce sicure e valide.
I primi documenti che attestano la presenza del vino in quanto tale risalgono alla fine del IV millennio a.C. nella città di Sumer nella Mesopotamia meridionale.
Sono stati appunto i Sumeri a fornirci le prime tracce dell'esistenza della bevanda.
Il vino viene nominato per la prima volta tra i simboli cuneiformi che componevano l'Epopea di Gilgamesh, opera letteraria narrante le vicende di Gilgamesh di Uruk, primo eroe della letteratura scritta del Terzo Millennio avanti Cristo.
Andando avanti nel tempo e precisamente tra il X e VIII secolo a.C. Omero nella sua Odissea ci fornisce informazioni sull’impiego della bevanda nell’Antica Grecia, considerata la prima vera grande terra del vino.
I documenti testimoniano di come il vino venne utilizzato nei banchetti ed offerto agli dei o utilizzato in altri momenti cruciali nella vita del singolo o della società. Nel Mito greco viene spesso rappresentato da diverse allegorie: un uccellino, un leone ed un asino. Il perché è presto detto. Questa singolare simbologia stava a rappresentare gli effetti del consumo della bevanda a seconda delle quantità ingerite: un uso moderato si riteneva facesse sentire allegri e felici come un uccellino, in quantità leggermente maggiore, forti come un leone; in dosi eccessive si pensava trasformasse l’uomo in una bestia stupida come l’asino.
La presenza del cosiddetto nettare degli dei nelle mense della Grecia Antica era simbolo di prestigio sociale siccome la produzione e la lavorazione del prodotto richiedeva terreni e materiali di costo elevato. Fu a partire dal 600 a.C. che iniziarono le esportazioni del vino greco attraverso il mediterraneo fino in Gallia dove i coloni greci avevano fondato Marsiglia.
Successivamente la bevanda venne esportata, grazie alle successive colonizzazioni anche verso il Mar Nero, l'Anatolia, le coste Africane e nelle terre occidentali raggiungibili per mare dal territorio greco.
Altra terra che un tempo disponeva di ottime potenzialità per la coltivazione della vite e per la vinificazione è sicuramente la Palestina, grazie alla vicinanza con il Vicino Oriente, dove ha avuto origine questa pratica, come testimoniano ritrovamenti di attrezzature (torchi, tini,...) nel corso di scavi archeologici.
Quando Roma potè finalmente fregiarsi del nome di capitale del mondo, la viticoltura aveva già alle sue spalle una lunga storia.
Durante il regno di Augusto tuttavia, questa pianta e questa bevanda poterono godere di maggiori cure e di maggior diffusione e prestigio. Virgilio, nel secondo libro delle Georgiche inizia con l'espresso intento di cantare Bacco e attraverso lui la vendemmia che spumeggia nei tini.
Il 1600 assunse importanza grazie alla presenza dei cabaret, dove venivano serviti i vini migliori, ma soprattutto grazie all’attività di Dom Pierre Pérignon (1639-1725), procuratore dell’Abbazia di Hautvillers iniziò a dedicarsi alla realizzazione dello Champagne spumante.
Il ‘700 fu il secolo in cui si ambì ad unificare tutte le conoscenze umane. Tale ambizione si realizzò nella Encyclopédie, opera ideata da Diderot e D’Alembert. I principali paesi produttori di vino, per i compilatori dell’ Encyclopédie, erano la Grecia, l’Italia, la Spagna, la Germania, l’Ungheria e ovviamente la Francia. I migliori vini italiani allora erano il Lachrima Christi rosso prodotto ai piedi dei Vesuvio, dal gradevole profumo ed un po’ dolce; l’Albano, rosso e bianco, specialmente indicato per i malati; i vini di Montefiascone, di Vicenza, e di Rezia.
La ragione dei filosofi è per una sua natura opposta all’uso delle bevande alcooliche quando si mostrano contrarie alla lucidità dello spirito. Voltaire, una delle punte di diamante dell’Illuminismo, non indulgeva all’ebbrezza poiché la riteneva dannosa per la salute e per la ragione, tuttavia non si sottraeva completamente alla tentazione del vino in virtù della sua qualità e della sua raffinatezza.
In tutti i tempi il vino è stato usato come medicamento. I nuovi filosofi, con l’arma della ragione, indagano e discutono anche di questo argomento. All’inizio del 1700 si accende una discussione su quale sia il tipo di vino più salubre e meglio indicato per la dieta.
Il 1700 è stato il secolo più importante per la chimica poiché le ha conferito un netto carattere di scienza sperimentale. A quest’opera ha contribuito in modo fondamentale Lavoisier che dimostrò che i componenti dell’etanolo erano carbonio, idrogeno ed ossigeno e non olio e acqua, come erroneamente si credeva.
Al seguito di Lavoisier, Jean A. C. Chaptal si interessò alle applicazioni pratiche della chimica anche al miglioramento dell’enologia. Fu infatti Chaptal a mettere in equazione il fenomeno della fermentazione, calcolando che per ottenere un grado alcolico nel vino occorrono circa 17 grammi di zucchero.
Con l’’800, si ha una nuova visione del vino, completamente differente da quella analizzata finora.
Dalla sua nascita fino alla fine del settecento, il vino aveva simboleggiato, soprattutto nell’epoca dei grandi imperi, oltre al classico dono offerto alle divinità, un efficace mezzo per elevarsi nella società. Simbolo di prestigio socio-economico conferiva, infatti, notevole dignità a chi nelle proprie cantine ne conservava anche piccole quantità.
Con l’avvento del nuovo secolo, quest’immagine del vino viene completamente stravolta, esso si trasforma in un mezzo per sviluppare le proprie capacità comunicative, in un’efficace pozione per evitare il mondo esterno, ormai corrotto da un inarrestabile progresso, ma soprattutto per consentire ai propri sensi di elevarsi.
Noto soprattutto per l’uso di droghe e alcool, Baudelaire parlerà del vino in diverse poesie, raccolte nell’omonima sezione de Le fleurs du mal (1868) e soprattutto nel suo trattato sui Paradis artificiels (1860), dove nella prima parte dell’opera, pubblicata con il titolo Le haschisch, Baudelaire dedica al vino un suo particolare inno, come introduzione a quel mondo inconscio le cui porte si spalancano alterando i sensi.
Come si è potuto capire dalla visione del vino secondo Baudelaire, dall’Ottocento in avanti la bevanda cessa di essere analizzata in se stessa, ma in base al rapporto tra l’alcool e la persona, gli effetti sulla psiche, i pregi e i difetti dell’utilizzo dell’alcool.
In Italia Giacomo Leopardi, nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, uno dei tanti brani che compongono le Operette morali, alla domanda di Tasso: Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare quando mi bisogni, dimmi dove sei solito di abitare, il suo genio familiare gli risponde esplicitamente: Ancora non l’hai conosciuto? In qualche liquore generoso.
Nel 1900, l’emergente interesse per i meandri dell’inconscio e della natura umana, porta alla nascita di un nuovo io letterario modellato sulle nascenti teorie psicanalitiche di Freud. Il protagonista dei romanzi novecenteschi è malato, incapace di adattarsi alla vita e al mondo in cui si trova, quello che Italo Svevo definirà l’inetto. Nel capitolo La moglie e l’amante del capolavoro sveviano La coscienza di Zeno, il protagonista Zeno Cosini si trova ad una cena in famiglia, preludio delle nozze della donna amata in passato e mai dimenticata totalmente, egli coglie al volo l’opportunità di abusare del vino per poter superare l’eterna inadeguatezza, portando alla luce un nuovo personaggio, un altro io capace di esprimere volontà e sentimenti altrimenti represse: Per l’effetto del vino, quella parola offensiva accompagnata da una risata generale, mi cacciò nell’animo un desiderio veramente irragionevole di vendetta. Davanti a tutti i componenti della famiglia, il vino assume proprio l’identità di uno strumento capace di vere e proprie metamorfosi, quasi un filtro da magia nera, ma l’effetto del vino rimane comunque temporaneo, non è una medicina, la malattia che affligge Zeno, la sua incapacità di vivere, non può essere curata cercando di seppellire la sua vera persona.
E oggi?
Nella letteratura contemporanea c’è poca traccia del vino, se non attraverso qualche menzione nei romanzi per impreziosirne la trama con dettagli colti, come nel caso de La confraternita dell’uva di John Fante.
L’interesse per questa bevanda oggi è inerente ai suoi effetti sulla salute e alla cucina, ci si interroga sul grado di fermentazione e sulla stagionatura dell’uva, trasformandola in un vero e proprio cult enogastronomico.
Il vino, rosso o bianco che sia, è ormai parte integrante della cucina tipicamente italiana, infatti, la dieta Mediterranea, per antonomasia la dieta della longevità, caratterizzata oltre che dall’aspetto salutistico, anche da quello conviviale, prevede un consumo moderato del vino durante i pasti che, bevuto in piccole dosi (un bicchiere durante i pasti), facilita il metabolismo dei grassi contrastando la formazione di trigliceridi e colesterolo, è un ottimo vasodilatatore e anti-ossidante, combatte i radicali liberi e facilita l’espressione dei buoni sentimenti.
Che si tratti, dunque, di un’esperienza enogastronomica o d’ispirazione letteraria, la Campania dà ampio spazio alle degustazioni di vini nei suoi territori e i buoni intenditori avranno di sicuro preso parte alle frequenti manifestazioni enogastronomiche estive.
Chissà che un altro capolavoro letterario non stia prendendo forma da qualche parte!