Il Leicester che conquista la Premier League grazie ai gol di un tale Jamie Vardy, che fino a qualche anno fa faceva il metalmeccanico perché con i soldi che guadagnava in mezzo al campo non ci pagava nemmeno l’affitto di casa, e ora alza il trofeo alla faccia di tutti i multimilionari andati ad investire in Inghilterra, rigorosamente tra Londra e Manchester, sbattendoglielo sul muso a questi maledettissimi ricconi; il Crotone che per la prima volta nella sua storia raggiunge la serie A e a questo punto può addirittura sognare di vincerla perché c’è riuscito il Leicester, e chissà che anche Budimir, non abbia un passato da metalmeccanico e un futuro da cannoniere nella massima serie.
Poi certo c’è il presidente del Crotone Raffale Vrenna, che non sembra proprio il più candido degli imprenditori calabresi, e chissà, pensa il nostro cervellino disincantato ormai incapace di credere agli eroi, che non si nasconda qualche oscuro interesse economico anche dietro la favolosa vittoria del Leicester.
Ma questo ce lo dice il cervello e, per fortuna o purtroppo, chi ama il calcio ha imparato a rinunciare alla razionalità almeno per quei novanti minuti di sport durante i quali 22 uomini si battono dando tutto ciò che hanno in corpo, mandando al diavolo tutto il lerciume che sta al di fuori di quelle quattro righe bianche tracciate in terra, per raggiungere un unico supremo obiettivo, la vittoria finale.
Sarà per questo che un dannatissimo sport, strapopolato di imbroglioni disonesti, pronti a vendersi anche l’anima, riesce ancora a farci sognare, a darci speranza e sollievo nei momenti più brutti e grigi della nostra esistenza, perché richiede una buona dose di incoscienza e tanta volontà di credere ancora negli eroi.
E allora è naturale che nel 1994 un uomo sfuggito con un pizzico di astuzia e tanta, ma tanta fortuna alle mani e al piombo della criminalità organizzata calabrese e dei narcotrafficanti colombiani, nonché ad altri poteri meno oscuri, ma non meno aggressivi; seppur quasi sepolto sotto un’immensa montagna di paura, se ne stia nella sua camera d’albergo a guardare una partita del campionato del mondo di calcio, Brasile – Italia per l’esattezza, non proprio una partitella tra ragazzini.
L’uomo di cui parliamo è Giuseppe Blaganò, protagonista del romanzo “Come una foglia al vento” che è il libro di cui stiamo parlando. Un uomo normale, che tornato in Calabria dal nord Italia, dove i suoi genitori erano emigrati, mette su un tranquillo e pacifico mobilificio, senza pretese di arricchimento e senza nemmeno avere le idee troppo chiare su come funzionassero le cose. Ma se non sai come funzionano le cose e metti su un mobilificio in terra calabra, è facile che nel momento del “bisogno” qualcuno venga a bussare alla tua porta, per darti una mano; e se quel qualcuno ha la mano forte e protettiva della “ndrangheta” calabrese, stai sicuro che i tuoi problemi, quelli vecchi almeno, li risolvi. Certo magari puoi ritrovarti, come capita a Peppe Blaganò, a fare qualche viaggio turistico, ma non troppo, in Sud America, specie in Colombia, per fare da mediatore in trattative finalizzate all’importazione di prodotti non troppo variegati e nemmeno troppo legali; ma che vuoi farci sono gli inconvenienti di chi conosce lo spagnolo e si trova con un mobilificio che fatica ad andare avanti nella Calabria a cavallo tra anni ‘80 e ‘90.
Così nel mezzo di questa avvincente follia in cui si trova coinvolto, il nostro Peppe, personaggio simpatico e amichevole cui non potremo fare a meno di strizzare un occhio nonostante la sua irritante incapacità di imporsi e portare avanti le proprie decisioni, non può far altro che cercare di buttare di tanto in tanto un sguardo al calcio, con la speranza che possa alleviare la solitudine e le sofferenze di chi si trova in terra di nessuno, senza anima viva su cui contare e poter fare affidamento, invischiato in affari a cui per tutta la vita aveva cercato di sfuggire. Lui che aveva fatto ritorno in Calabria con semplici sogni di vita paesana e amena!
Così il calcio non è solo calcio, se intreccia le nostre esistenze e se Peppe Blaganò, il personaggio creato dalla fantasia (neppure troppo avanguardistica) di Claudio Metallo, alla tv non guarda solo Brasile – Italia finale dei mondiali del ’94, guarda la sua ultima speranza di credere negli eroi, nelle favole, nel lieto fine, nell’impossibile.